martedì , 3 Dicembre 2024
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DISTURBO DELLA CONDOTTA

La caratteristica clinica principale del Disturbo della Condotta è la sistematica e persistente violazione dei diritti dell’altro e delle norme sociali, con conseguenze molto gravi sul piano del funzionamento scolastico e sociale. 

La fenomenologia del disturbo si caratterizza principalmente per la presenza di aggressività a diversi livelli. I bambini e gli adolescenti con disturbo della condotta possono mostrare un comportamento prepotenteminaccioso o intimidatorio, innescare intenzionalmente colluttazioni, rubare affrontando la vittima, costringere l’altro a fare cose che non vuole, fino all’abuso sessuale.

I comportamenti sintomatici più importanti assumono la forma di vere e proprie aggressioni perpetrate a danno di persone o animali, aggressioni che nei casi più gravi si traducono in episodi di stuproviolenza e omicidio (APA 2002) e che sembrano essere accompagnate da una particolare riduzione del senso di colpa.

Il disturbo è considerevole per le pesanti conseguenze personali e sociali che la questione presenta. Ci possono essere situazioni di:

Aggressioni a persone o animali:

  • spesso fa il prepotente, minaccia o intimorisce gli altri;
  • dà inizio ad episodi di bullismo;
  • spesso dà inizio a colluttazioni fisiche;
  • ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es., un bastone, una barra, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola)
  • è stato fisicamente crudele con le persone;
  • è stato fisicamente crudele con gli animali;
  • ha rubato affrontando la vittima (per es.: aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata);
  • ha forzato qualcuno IN attività sessuali.

Distruzione della proprietà:

  • ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni;
  • ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco).

Frode o furto:

  • è penetrato in un edificio, un domicilio, o un’automobile altrui;
  • spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (cioè, raggira gli altri);
  • ha rubato articoli di valore senza affrontare la vittima (per es., furto nei negozi, ma senza scasso; falsificazioni).

Gravi violazioni di regole:

  • spesso trascorre fuori la notte nonostante le proibizioni dei genitori, con inizio prima dei 13 anni di età;
  • è fuggito da casa di notte almeno due volte mentre viveva a casa dei genitori o di chi ne faceva le veci (o una volta senza ritornare per un lungo periodo);
  • marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni di età.

L’esatta causa del disturbo della condotta non è nota, ma si ritiene che svolga un ruolo importante una combinazione di fattori biologici, genetici, ambientali, psicologici e sociali.

Sul piano ambientale, la disorganizzazione dell’attaccamento, gli stili di Parenting caratterizzati dal ricorso a controllo psicologico, il neglect e l’abuso, le esperienze traumatiche, una storia familiare di abuso di sostanze, il ricorso ad una disciplina incoerente da parte dei genitori, sono tutti fattori che possono contribuire allo sviluppo del disturbo della condotta.

In relazione agli ingredienti cognitivi e agli stati mentali prossimi all’emissione della condotta sintomatica in esame, molti esperti ritengono che il disturbo della condotta possa riflettere un problema che coinvolge ragionamento e consapevolezza morale. 

In particolare, caratteristica centrale sarebbe la mancanza di senso di colpa e l’assenza di rimorso, fenomeni fondati sulla considerazione del fatto che le regole vengano imposte da autorità riconosciute come ostili ed umilianti.

Per i bambini e gli adolescenti con problemi di condotta e di aggressività, il trattamento è basato su un modello socio-cognitivo scientificamente fondato, relativo alle modalità di elicitazione della rabbia nei bambini con Problemi di Aggressività e Condotta (PAC) e ai processi attraverso i quali questa sfocia in risposte aggressive. 

Nel modello in questione si opera una distinzione tra i deficit cognitivi, che si riferiscono ad inabilità in specifiche attività cognitive, e le distorsioni cognitive, che si riferiscono, invece, alle percezioni erronee e/o disfunzionali dei soggetti con problemi di aggressività.

Tale modello socio-cognitivo rende evidente il fatto che, quando il bambino incontra uno stimolo potenzialmente attivante la rabbia, sono soprattutto i processi di percezione e di valutazione che questi compie ad influenzare le sue reazioni emozionali e fisiologiche, piuttosto che l’evento in quanto tale.

Queste percezioni e valutazioni possono essere accurate o inaccurate e, in larga parte, sono influenzate dalle iniziali aspettative del soggetto, che filtrano la percezione della situazione ed orientano l’attenzione selettiva a specifici aspetti, o stimoli, dell’evento attivante. 

Se il bambino ha interpretato l’evento come minaccioso, provocatorio o frustrante, egli sperimenterà un’attivazione neurovegetativa intensa e successivamente ingaggerà in un set di attività cognitive, dirette a decidere circa un opportuno corso di azione per rispondere all’evento stesso, altamente influenzate dalla valutazione iniziale e dal relativo arousal.

L’arousal interno, infatti, ha un’interazione reciproca con i processi di valutazione del bambino, dal momento che egli deve interpretare ed etichettare le connotazioni emotive di tale attivazione neurovegetativa.

Inoltre, a causa del fatto che l’accresciuta attivazione emotiva focalizza l’attenzione del bambino soprattutto sugli stimoli associati con possibili minacce, egli tenderà molto frequentemente a sentirsi arrabbiato. 

Questi tre insiemi di attività interne contribuiscono alle risposte comportamentali del bambino, alle successive conseguenze che egli elicita da parte dei coetanei e degli adulti, ed alla sperimentazione interna come auto-valutazioni:

  1. Percezione e valutazione
  2. Attivazione neurovegetativa
  3. Problem-solving interpersonale

Le reazioni da parte delle altre persone possono poi diventare degli eventi stimolo, che danno vita ad un nuovo ciclo, attraverso circuiti di feedback, diventando ricorrenti unità comportamentali, collegate tra loro.

Non di rado può essere utile concentrare l’attenzione sulle cognizioni dei genitori e degli insegnanti piuttosto che su quelle dei bambini. 

In generale, i genitori possono fare attribuzioni pessimistiche riguardo al locus of control del problema, la sua stabilità e la sua possibile risoluzione. Per esempio, le madri di bambini con problemi comportamentali tendono a credere che la causa (e di conseguenza la soluzione) delle difficoltà del figlio riguardi il bambino e non il genitore o l’interazione tra l’uno e l’altro. 

Le attribuzioni materne, infatti, tendono a focalizzarsi su caratteristiche stabili e disposizionali del bambino, come spiegazione primaria delle sue difficoltà. Le madri potrebbero pensare, per esempio 

  1. Che i loro bambini siano responsabili dei loro comportamenti; 
  2. Che il bambino intenzionalmente si comporti male manifestando rabbia o ripicche/dispetti nei confronti dei genitori;
  3. Che i problemi del bambino siano relativamente non modificabili o incontrollabili.

In altre parole, i genitori dei bambini con tali problemi potrebbero non accettare facilmente la premessa che le loro pratiche genitoriali abbiano giocato un ruolo importante nello sviluppo dei problemi o che possano essere usate per modificare l’attuale situazione. 

Inoltre, alcuni genitori non si sentono competenti o capaci di fronteggiare il comportamento del bambino e sperano che il terapeuta si assuma la piena responsabilità di aiutare il figlio. 

In altri casi, alcuni genitori ritengono che i problemi del bambino siano totalmente causati da loro, perché non sono bravi genitori.

Le attribuzioni genitoriali negative e pessimistiche sono da tenere in debito conto, dal momento che, non solo generano stati emotivi negativi nei genitori (per esempio rabbia e frustrazione), ma li inducono anche ad assumere delle pratiche disciplinari fallimentari o peggiorative.

About Giada Billi

Giada Billi, laureata in Scienze Storiche cum laude all’Università di Bologna e in Psicologia clinica e riabilitativa all’Università di Roma. E’ docente e referente per l’inclusione e contro bullismo e cyberbullismo presso il liceo Torricelli Ballardini di Faenza. Ha pubblicato “rapporti economici tra Italia fascista e Germania nazista durante l’occupazione”per SBC e “Il default islandese” per YCP. E’ socia Mensa Italia dal 2000.
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